“Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra” (Salmo 104)
Nel racconto di Pentecoste – è meglio dire la prima Pentecoste – si narra che la casa
dove si trovavano gli apostoli fu riempita da «un fragore, quasi un vento che si
abbatte impetuoso» (At 2,2). Un segno senz’altro impressionante, ad indicare
l’irrompere dello Spirito nella nostra vita, l’impatto con cui veniamo scossi e
liberati da ogni timore, esitazione e chiusura. E probabilmente è un’immagine che
piace alle nostre generazioni, che si eccitano a misura di decibel e si sentono vive
solo se immerse nel continuo fluire di voci e musiche. Il fragore dello Spirito è di
tutt’altro tipo. Non agisce sull’onda delle emozioni, ma nel profondo dell’anima.
Crea il silenzio interiore, in modo che dalle molte voci – non tutte buone, non tutte
innocue – che agitano mente e cuore si faccia spazio la Voce dello Spirito e questo
segni non solo la comprensione dell’altro, ma anche la verità del nostro dire.
Ammettiamolo: troppe parole servono a costruire muri, ad assediare l’interlocutore
e perfino ad impedirgli di parlare. Infatti la moda della rissa fa ascolti nei talk show
e prevale nei social fino a diventare costume sociale. Invocare lo Spirito di pace
significa allenarsi al silenzio dentro se stessi. coltivare il rispetto del silenzio tra
noi, a cominciare dal modo in cui partecipiamo all’eucaristia. Certo, una pratica
impegnativa e controcorrente, che potrà anche farci sentire perdenti in alcune
occasioni. Ma ci farà bene: al cuore, alle parole, alle relazioni. (d. N. B.)